La sindrome dell’impostore: i successi ti fanno sentire inadeguato?

15 Luglio 2025

Ti è mai capitato di raggiungere un traguardo importante ma sentire di non meritarlo davvero? Hai mai avuto la sensazione che, prima o poi, qualcuno scoprirà che non sei così competente come sembri? Se sì, potresti aver sperimentato quella che viene chiamata sindrome dell’impostore. Non si tratta di una vera e propria diagnosi clinica, ma di un fenomeno psicologico molto diffuso. Chi ne soffre tende a minimizzare i propri successi, attribuendoli alla fortuna, al caso o a fattori esterni, e a vivere con un costante senso di inadeguatezza e paura di essere “smascherato”.

 

Il termine fu coniato per la prima volta nel 1978 dalle psicologhe Pauline Clance e Suzanne Imes, che osservavano come molte donne brillanti non riuscissero a interiorizzare i propri successi. Da allora, il fenomeno è stato riconosciuto anche in uomini e in persone di ogni età e professione, ma in particolare tra studenti universitari, neolaureati, liberi professionisti, medici, insegnanti e manager. In pratica, chiunque si trovi a confrontarsi con standard elevati o ambienti competitivi può sviluppare tali pensieri auto-svalutanti. Nonostante i risultati oggettivi, queste persone vivono con l’ansia di non essere abbastanza, in un circolo vizioso che può compromettere l’autostima e il benessere psicologico.

Perché ci sentiamo degli impostori?

La sindrome dell’impostore non nasce dal nulla: ha spesso radici che affondano nella storia personale, familiare e culturale dell’individuo. In molti casi, chi ne soffre è cresciuto in contesti dove l’approvazione era condizionata al rendimento, o dove il confronto con fratelli, compagni o colleghi era costante. L’idea di dover essere perfetti per sentirsi amati o accettati può diventare, nel tempo, una gabbia mentale. Anche l’educazione ricevuta gioca un ruolo importante: frasi come “Puoi fare di più” o “Non montarti la testa” possono avere effetti ambivalenti, spingendo da un lato all’ambizione, ma generando dall’altro un senso cronico di insicurezza.

 

A influenzare la sindrome dell’impostore ci sono anche fattori culturali e sociali. In una società orientata al risultato, dove il valore personale è spesso misurato in base ai titoli, ai successi visibili o al riconoscimento esterno, ammettere le proprie insicurezze può sembrare una debolezza, e così si tende a nascondere il disagio, rafforzando l’idea di essere gli unici a sentirsi “fuori posto”. Anche i social media contribuiscono a questa dinamica, mostrando vite patinate e carriere di successo, spesso senza mostrare il dietro le quinte fatto di errori, dubbi e fallimenti. Tutto questo alimenta il confronto costante con gli altri e la convinzione di non essere mai all’altezza.

Come uscirne?

La buona notizia è che la sindrome dell’impostore si può riconoscere, affrontare e superare. Il primo passo è proprio diventare consapevoli del problema: accorgersi che certi pensieri (come “è stato solo un colpo di fortuna” oppure “prima o poi scopriranno che non valgo nulla”) non descrivono la realtà oggettiva, ma una percezione distorta, è già un primo atto di auto-liberazione. Un modo utile per farlo è scrivere i propri successi e sforzarsi di riconoscere il ruolo attivo che si è avuto nel raggiungerli. Attribuire valore al proprio impegno, alla costanza e alle capacità reali aiuta a creare una visione più equilibrata di sé stessi.

 

Un altro passo fondamentale è parlare del proprio vissuto, rompendo il silenzio che spesso accompagna questo tipo di disagio. Scoprire che anche colleghi stimati, amici o figure di riferimento hanno attraversato momenti simili può ridurre la sensazione di isolamento e normalizzare l’esperienza. A volte, basta aprirsi per accorgersi che non si è soli, e che la “maschera” che pensiamo di indossare è molto più comune di quanto immaginiamo.

 

Quando il senso di inadeguatezza diventa pervasivo o interferisce con la qualità della vita, può essere utile intraprendere un percorso psicoterapeutico. La terapia offre uno spazio sicuro dove esplorare le origini di questi pensieri auto-svalutanti, metterne in discussione la validità e sviluppare un’autostima più solida. L’obiettivo non è diventare autocelebrativi, ma imparare a riconoscere il proprio valore senza dover essere perfetti, accettando anche vulnerabilità e limiti. Perché sentirsi competenti e legittimati non è una questione di presunzione, ma un presupposto fondamentale per il nostro benessere.

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